Data Stampa: 05/10/2011 10:29:59
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Presentazione Libro su Altavilla Mìlicia, secoli XII-XIX
Venerdì 7 ottobre 2011 alle ore 18.00 presso la Sala convegni sita nel Santuario Madonna della Milicia, verrà presentato il libro "Un insediamento rurale dell'area palermitana - Altavilla Mìlicia, secoli XII-XIX" di Gaetano Brancato, Salvatore Brancato e Vito Scammacca.
Alla presentazione interverranno, oltre il prof. Salvatore Brancato, Massimo Costa dell'Università degli Studi di Palermo, lo storico Antonino Morreale, Antonino Palazzolo architetto e ricercatore, Liborio Scordato Rettore del Santuario Madonna della Mìlicia e il giornalista Pino Grasso.
Ingresso libero. Il libro è edito da Eugenio Maria Falcone Editore, pagine 392.
Il Comune di Altavilla Milicia darà una copia del libro alle famiglie residenti che ne faranno richiesta.
Dalla premessa del libro:
Mìlicha era l'antico nome che indicava la parte estrema della campagna palermitana, l'ultimo lembo orientale della Conca d'Oro stagliato ai piedi dalla catena del Monte Cane che costituisce lo sfondo naturale dell'intero territorio.
Nei primi anni del Settecento il Castelalfiere, nel litorale compreso tra il castello di San Nicola ed il fiume Mìlicia, vide la torre delle Mandre sopra erte ripe, la torre Iditella in un sito più basso, la chiesa di Santa Maria di Campogrosso in rovina, poi il fondaco, il colle assai coltivato, la terra di Altavilla con palazzo e torre.
Segni di una storia lunghissima che affonda le radici nella lontana epoca arabo-normanna, quando il territorio riprese a vivere dopo il silenzio calato per mille anni sulla colonizzazione romana e su un misterioso insediamento in contrada Cangemi. La chiesa ed il monastero di Santa Maria di Campogrosso, edifici risalenti al periodo della contea normanna, erano i simboli prestigiosi della riaffermata cristianità sui musulmani, i luoghi della rinascita culturale ed economica di una vasta zona occupata dalla foresta della Bacharia e dai terreni incolti di Misilmeri.
Conclusasi l'esperienza dei monaci basiliani di Campogrosso ed esaurito attorno agli anni del Vespro, il periodo dell'abitazione rurale nel casale di Aylyel, si aprì anche qui il nuovo ciclo della masseria.
Non c'erano insediamenti stabili, ma la presenza dell'uomo era ormai diffusa e le forme di attività intraprese erano diverse, malgrado l'incubo dei pirati maghrebini: gli allevamenti delle mandrie nella zona montuosa, il seminativo nelle terre pedemontane, la coltivazione delle vigne nella pianura, forse anche una tonnara nel mare di San Michele.
Agli inizi del Quattrocento si aggiunse l'industria della canna da zucchero, alimentata dal cannameleto delle contrade Marina e Bruca, uno dei primi impiantati fuori dalle mura urbane di Palermo. La Saccharum officinarum caratterizzò fino al Seicento il paesaggio e le attività produttive del territorio: ne erano testimonianza i pezzi di terreno squadrati e occupati dalle cannamele, il castro con baglio e trappeto, la torre con annesso fondaco, il commercio dello zucchero e la numerosa manodopera coinvolta nelle varie fasi dei lavori.
Lo spazio utilizzato era la striscia di terra compresa tra il torrente San Michele ed il fiume Mìlicia, esiguo per estensione, ma prezioso per l'abbondanza delle acque e per la presenza di uno scarro de la playa.
Su queste terre si fece sentire l'influenza di importanti casati:l'antica famiglia dei Milia, i potenti Ventimiglia, poi i Centelles e i Galletti. Ma c'era anche la presenza di borghesi emergenti che uscivano da Palermo per consolidare la propria posizione economica e politica, come i Valguarnera,
gli Squarcialupo e i Bellacera.
Dietro l'incedere del fenomeno delle città nuove, favorito dal peso sociale e politico acquisito dai nuovi nobili, venne edificata negli anni venti del Seicento la terra feudale di Alta Villa.
Si tratta di una fondazione baronale che suscita particolare interesse perché lontana dalle esigenze di frumento dell'annona palermitana e diversa dalle numerose fondazioni baronali del XVII secolo strutturate sul latifondo e legate a territori a forte produzione granaria.
I Bologna puntarono sulla vigna, esercitando sulla nuova terra i poteri del diritto pubblico feudale siciliano, dal mero e misto imperio alla gestione delle privative e dei monopoli, istituendo il secreto, il giudice, il sindaco, i giurati e gli officiali minori.
Il processo di colonizzazione avviato dai Bologna allo scopo di raggiungere i fasti del rango nobiliare, è stato esaminato attraverso i contratti di gabella e di enfiteusi che determinavano, in uno sfondo di vincoli e fiscalità, i rapporti tra feudatario e vassalli. L'analisi dei riveli e dei volumi di raziocini e cautele dell'archivio Camporeale ha permesso di identificare la struttura demografica della terra con l'indicazione dei beni mobili e stabili dei coloni, nonché delle gravezze che marcavano la condizione di privilegio del barone sui poveri contadini.
Gli architetti Mariano Smiriglio, Ferdinado Fuga e Carlo Chenchi, progettarono e realizzarono nel Sei-Settecento le nuove emergenze architettoniche del territorio, l'impianto urbano, il ponte sul fiume Mìlicia, il nuovo palazzo baronale. Malgrado le grandi firme e gli investimenti dei Bologna, l'insediamento rimase di tipo rurale, il borgo stentò a diventare paese contadino perché stretto dalle nuove fondazioni baronali e dal ritmo incalzante dello sviluppo di Bagheria. Questo è il microcontesto ricostruito e interrogato, rivedendo le ricerche contenute nel volume Uomini, lavoro e fede ed estendendo lo studio oltre la fine del feudalesimo, quando le élites locali diventarono protagoniste dello scontro per la ricomposizione dei nuovi equilibri sociali e per la gestione del potere.
La focale della historia minima ha restituito il primo piano di un territorio dal passato intrigante che, per la sua vicinanza a Palermo, appare anche un buon osservatorio per cogliere alcuni aspetti della storia siciliana.
- Categoria: Eventi
- Data: 05/10/2011